RECENSIONE AL LIBRO “DALL’ ALTRA PARTE DELL’ ETICHETTA” DEL DOTT. CECERE
di Rina Cerchione
Il duemiladiciotto è stato un anno particolarmente importante per la mia crescita umana e professionale, a seguito del percorso universitario conclusosi con la Laurea Magistrale in Educatori Professionali. Il mio interesse per gli studi pedagogici si è rivolto essenzialmente ai disturbi del neurosviluppo (disturbi dello spettro autistico, DSA, BES) partecipando alle iniziative di sensibilizzazione culturale promosse dal Cif Centro Italiano Femminile Comunale di Aiello Del Sabato (Avellino). In tali occasioni formative ho avuto la possibilità di conoscere il Dott. Cecere Elpidio, Psicologo e Psicoterapeuta, Direttore Scientifico del TCE Therapy Center a Casagiove (Caserta). Il Dott. Cecere E. ha presentato presso il Centro Sociale di Sabina (Aiello Del Sabato) il suo primo volume Dall’altra parte dell’etichetta, oggetto di questa recensione.
Questo libro ha attirato la mia attenzione non solo per la qualità e delicatezza dei temi oggetto di analisi, quanto la sua fruibilità e accessibilità: attraverso un linguaggio chiaro, semplice, alla portata di tutti, il Dott. Cecere E. partendo dalla disamina dei cambiamenti succedutisi all’interno della società come l’avvento delle nuove tecnologie e dei social network si tenda ad etichettare sempre più facilmente e a rendere patologico le difficoltà, dai contesti di vita reale (relazioni face to face) sino ad arrivare alle praterie virtuali. L’avanzamento tecnologico ha mutato profondamente la qualità dei nostri rapporti di vita e con essi quelli delle persone con disabilità. “Viviamo in una società ossessionata dal risultato, dove la competitività è una norma sociale e il confronto una vera e propria unità di misura tramite la quale gli altri vengono sentiti come avversari”.
La società etichetta e non aiuta. “La famiglia che vive nelle quattro mura un figlio con difficoltà è esposta ad un impatto negativo continuo poiché la società lo etichetta come un soggetto con problemi e non riesce ad andare oltre. Tutto questo non può che farmi e farci pensare su quanto, in molti momenti, siano diventati più importanti gli occhi degli altri che quelli dei nostri stessi figli”. L’etichetta, la cristallizzazione di stereotipi, che la società tende ad affiancare alle persone con disabilità, influisce negativamente sulla strutturazione della loro dimensione identitaria e sulla qualità della vita stessa. Si tratta di veri e propri ostacoli al processo d’inclusione e quindi alla loro effettiva partecipazione alle opportunità sociali normalmente riconosciute a tutti: questo rimanda alla grande questione dei diritti umani e del bisogno di sentirsi ascoltati e parte integrante di una realtà ampia alla quale possono mettere in gioco le proprie potenzialità. Per dirla con le parole del Dott. Cecere E. “Dovremmo piuttosto riformare la percezione della disabilità: bisogna attuare una riforma, e cioè creare i presupposti affinché la disabilità possa essere vissuta nella serenità del diritto all’assistenza e nel rispetto dei diritti della persona: non ultimo, il diritto a poter vivere e scoprire le proprie inclinazioni; ma bisogna anche ri-formare e cioè cambiare la mentalità della nostra società che è incentrata sulla visione della disabilità come una condizione statica ed esclusivamente limitante, nella quale non esistono punti di forza, ma solo di debolezza”. Una strada da percorrere tutt’altro che lineare o priva di cadute, sulla scia delle riflessioni del Dott. Cecere E. “Cambiare il messaggio che diamo al nostro pensiero può sicuramente diventare un buon punto di partenza. Per cambiare bisogna combattere il pregiudizio. La diversità deve essere un valore aggiunto e non un valore sottratto. La diversità deve essere protetta e non distrutta”.
L’etichetta innesta un circolo vizioso, ovvero, un processo che ingabbia la persona in una determinata categoria, attribuendole caratteristiche deficitarie indelebili. In quest’ottica, nel caso di una persona con disabilità, alcuni termini come “malato” e “disabile”, mettono in luce esclusivamente un’idea di dipendenza e di incapacità, negando la possibilità di sviluppare un’identità plurale e di incarnare, quindi, una serie di ruoli. Tutto questo causa atteggiamenti di marginalizzazione e di isolamento sociale che mettono in discussione l’emergere del vero Io, quello vero e autentico, della persona.
Rappresentata attraverso l’immagine del “dito” così il Dott. Cecere E. descrive l’etichetta: “Immagina di avere un dito perennemente puntato contro. Fermo e immobile al centro della fronte, come a dividerne gli occhi. Immagina il silenzio assordante di uno sguardo supponente che riecheggia nella tua mente come il più forte dei rumori. Immagina il peso delle parole non dette di chi fa la cosa più semplice: ti giudica”. Poi prosegue, scrivendo:
“Immagina, ora, se quel dito diventasse una mano che raccoglie le difficoltà e semina accettazione, una mano pronta ad insegnare che siamo tutti uguali e che la non-accettazione è un’inutile barriera da abbattere”. L’autore ora ci offre la chiave di accesso alla porta del mondo interiore della persona: la comprensione empatica ovvero il provare a mettersi nei panni dell’altro. Una comprensione attenta che richiede accoglienza, rispetto, anche durante la comunicazione della diagnosi: “ascoltare senza giudicare, fare domande appropriate, non minimizzare e non drammatizzare”. La consegna della diagnosi ai genitori è una fase particolarmente delicata in quanto, “l’esperto dovrà adattarsi emotivamente al livello della famiglia che ha di fronte e, con empatia, entrare in contatto con i genitori, al fine di favorire un clima di collaborazione”. Per contro, “una cattiva comunicazione della diagnosi rischia di determinare sensi di sfiducia e di rabbia nei confronti dell’esperto; può avere effetti a lungo termine sulla capacità dei genitori di accettazione della diagnosi e di adattamento alla nuova situazione”.
Il Dott. Cecere E. fornisce, inoltre, ulteriori spunti pedagogici per la corretta gestione della speranza: “Comunicare speranza e ottimismo sul bambino e non sul decorso della diagnosi, dedicarsi alla sua esistenza e non sui problemi che dovrà superare, di concentrare le risorse sul modo specifico che il bambino ha di interagire con gli altri e di dare e ricevere emozioni, qualsiasi sia il suo limite”.
Dall’altra parte dell’etichetta si presenta come un diario di vita, raccoglie testimonianze ed esempi: quelle esperienze di genitori che “non l’hanno data vinta all’etichetta”; quelle di insegnanti che attraverso il lavoro pedagogico cercano di instaurare relazioni fondate sulla fiducia e sulla cooperazione con le famiglie; infine, le testimonianze dell’esperto. In ognuna di queste esperienze il Dott. Cecere E. promuove la collaborazione attiva fra i diversi attori coinvolti (genitori, insegnanti, psicologici, medici, terapisti, educatori e tutti coloro che a vario titolo coadiuvano nelle relazioni educative), dunque, un’alleanza educativa che sia fioriera per il benessere e la salute del bambino.
Personalmente ritengo che questo volume possa essere considerato una chiave di lettura per la società dei nostri tempi, quella digitale; un libro alla portata di tutti, anche per i non addetti ai lavori; il Dott. Cecere E. rivendica la centralità del nostro essere soggetti unici e irripetibili, recuperando la dimensione più preziosa: quella propriamente umana stabilita dal contatto emozionale: “La relazione, la partecipazione attiva dei ragazzi nella lotta contro ogni forma di discriminazione è una delle strategie chiave delle nuove educazioni. Fare rete aiuta, appunto, a vincere le paure e ad aprirsi a chi è diverso da noi con rispetto e voglia di conoscersi”
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