DISABILITA’ E GUERRA: RECENSIONE DEL MONOLOGO-DIALOGO “MILITE IGNOTO. QUINDICIDICIOTTO”
di Maria Stella Falco
L’8 aprile 2017 sono stata a teatro ad assistere alla tappa ruffanese del pluripremiato “Milite Ignoto. Quindicidiciotto” (di e con Mario Perrotta). Prima di assistere allo spettacolo teatrale, previsto nella rassegna teatrale organizzata dall’associazione di volontariato culturale teatrale “Kairòs”, non ho voluto documentarmi a proposito. In questo mia breve recensione, quindi, non farò riferimento alle autorevoli fonti da cui è stato adattato questo importante lavoro teatrale.
La scenografia, volendo ricreare l’ambiente della “Grande Guerra”, terminata quasi 100 anni fa, risulta “povera”: sfondo scena completamente buio, mentre un giovane soldato, su cui si dirigono le luci qualche minuto dopo l’inizio dello spettacolo teatrale, è seduto su sacchi di juta accatastati, che, se non fosse per il colore diverso, danno l’idea di essere pezzo di muretto a secco, tipico delle mie zone.
Essenziali gli effetti sonori, dato il tema dello spettacolo teatrale, “cooprotagonisti” insieme all’unico protagonista in scena.
“Milite ignoto. Quindicidiciotto” racconta, dal punto di vista di un giovane soldato al Fronte, la “Grande Guerra”; ripercorre, attraverso la voce e le riflessioni profonde e ad ampio raggio del soldato, quei drammatici accaduti.
Tutto ciò fedelmente rispetto alla storia “ufficiale” ma offrendone un punto di vista nuovo, quello del giovane soldato al Fronte appunto, che si interroga sul senso di ciò che lì accade, della vita e della morte, sulla sorte dei “fratelli” provenienti da ogni luogo d’Italia, vincitori e vinti. E si chiede chi abbia veramente perso: tutti, vinti e vincitori, gli uomini, quelli rimasti vivi che, a causa della Guerra, hanno perso il senso della vita e la loro identità, e con essa gli affetti, dopo questi accaduti terribili.
Non posso fare a meno di scrivere, dato che li ho notati, che sono presenti richiami al “tema” della disabilità (e in generale della sofferenza umana, fisica e psichica) dato che si fa riferimento ai tanti soldati che rimangono mutilati, e dunque invalidi, a causa della Guerra.
Il tema generale, purtroppo, fa pure pensare ad oggi.
A livello tecnico e linguistico, “Il milite ignoto” è un monologo-dialogo, perché l’attore, che recita utilizzando vari dialetti, dalla cui commistione nasce una “lingua” a tratti incomprensibile, sembra interagire col pubblico e coinvolgerlo realmente.
Questo “pezzo teatrale” l’ho trovato emotivamente forte, ma a tratti è “scappato” qualche sorriso amaro, e ne ho tratto spunti di riflessione. Non so se mai insegnerò però, anche se non è proprio uno spettacolo adatto ai ragazzi, mi piacerebbe che lo vedessero quelli degli ultimi anni delle superiori. Questa mia breve recensione è quella di “gente studiata”, che però ora sa quanto è importante vivere, chiudendo i libri, perché “studiare troppo fa male”. Questa chiosa per dire che, anche perché relativo a eventi che, purtroppo, hanno coinvolto tutto il mondo, questo spettacolo ha parlato anche della vita di ognuno degli spettatori.
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